sabato 27 aprile 2013

Little Rolling Heads From Outer Space Vol.2


 The Unchaining, un losco figuro errabondo nella solitudine undergound


Little Rolling Heads From Outer Space (Vol.2)

— Rubrica di critica musicale per teste d’acido, di Televisionhead —

Seconda Puntata: The Unchaining

Ci si aspetterebbe diavoletti con le palle in vista, pentagrammi kitsch e scritte ramificate nello stile di qualsiasi stracazzo di gruppo black metal, invece ci viene sbattuto in faccia il sinistro disegno di una figura umana (o un busto per il tiro al bersaglio) che vaga per il mesto paesaggio montuoso in una scena notturna. Nessuna traccia di un nome, nessuna traccia di un titolo. Il che, in un mondo musicale improntato sulla puttanificazione dell’immagine e del nome e del logo credo si distanzi dall’andazzo generale in modo sufficiente perché io decida di usare le mie orecchie per ascoltare l’album, anzitutto. Mi preparo a stringere lo sfintere aspettandomi le classiche note strazianti gonfie di gain ripetute all’infinito per decine di minuti, forse ricordando atavicamente la copertina di forest poetry di quel pelato di Ildjarn, copertina ugualmente naif e nel suo caso portatrice di armageddon lo-fi al limite della tolleranza auricolare. I miei pregiudizi non vengono assecondati perché l’inizio dell’album, invece, è più gentile di una sega fatta per amore da una nonna thailandese malata di tisi. I lenti riffs pompati di chorus della prima traccia “Meditation” non hanno secondi fini se non quelli riportati nel titolo.

Nemmeno due minuti e inizia “The Wanderer”, la batteria è in secondo piano, la chitarra è monocromatica, la voce è nostalgicamente incazzata e visto che mi si gela il cazzo vado a prendere una maglia in più. La prima canzone mi ricorda una serata d’inverno passata in solitudine a giocare a backgammon con fantasmi settecenteschi e fuori dalla finestra alberi morti e pioggia semisolida. La tastiera liquida aiuta a dare melodia al tutto, e quando la seconda parte della canzone si fa strada nelle mie orecchie capisco il desiderio del nostro The Unchaining. Costui non ci desidera verticali mentre ascoltiamo la sua roba, ma bensì orizzontali. Non vi sto suggerendo assolutamente di scopare mentre l’ascoltate, vi sto suggerendo di starvene stesi a letto a farvi seghe mentali, mentre lasciate sul piatto questo “Wandering Through The Landscapes OF Mind” (che è il fottuto nome del disco, cos’altro dovrebbe essere, il nome di mia madre, idiota??!) poiché immagino sia questo l’obbiettivo del musicante. Scordatevi l’headbanging scorreggione che i fighetti del metallo cercano per uccidere anche gli ultimi collegamenti neuronali che comunque non hanno, sta qua è roba introspettiva, quindi non spaccate il cazzo e state zitti stesi lì e menatevi il cazzo della mente per tutta la mezzoretta del disco, funziona così.

Buona la scelta di non spezzare il ritmo della seconda canzone con la seguente “The wolf”, avevo paura di tornare nell’acustico, ma The Unchaining piazza lì un altro pezzo atmosferico ma non per questo deboluccio come una sega con i piedi fatta da un morto. Più varietà di giri chitarra, più tastiere, una batteria non invadente, la canzone è spezzata a metà ma non discontinua, la cosa che posso dire è che non è merda pop quindi non si fa recensire come merda pop, quindi non posso parlare di una qualche struttura fissa delle canzoni (e manco vorrei farlo). Sto qua è un disco che va ascoltato d’un fiato o niente. Successivamente è la volta di “Meditation (Part 2)”, una traccia Burzumiana keyboard-only che non stona, visto che a sto punto dell’ascolto si è capito che il titolo di quest’opera non ci prende per culo: l’intenzione sta tutta in quelle 6 parole, se non lo capisci vai su google translate e sentiti scemo, poiché, cazzo della madre di Cristo Addolorato, più semplice di così si muore.

“Wisdom” torna ad essere suonata con la chitarra, inizia solenne e distorta, il riff mi piace, c’è un intervallante lavoro di plettro lento-veloce che ricorda anche altri generi. La canzone continua a essere un cubetto di ghiaccio del Nord tra i coglioni (riffs gelidi e batteria mesmerizzante) fino al pezzo con la chitarra acustica, che non sapevo se aspettarmi o no, e poi la solennità di giri lenti e scanditi torna fino all’assolo fantasy del finale. Il pezzo più coraggioso dell’album, yeah.

La voce di “The Wind is blowing free” è recitata, il ritmo più incalzante, quindi si può dire che il disco parta lentamente per poi gonfiarsi verso la fine, come il nome stesso di codesta one-man-band mi suggerisce. quell’ING alla fine di UNCHAIN da l’idea di un processo continuato, e così è, credo, poiché c’è traccia di un incazzamento crescente, di una melodia, e proprio in questa traccia piuttosto lunga rispetto alle altre c’è il centro dell’opera. Ma come cazzo parlo? Sarà che il continuo riffing fitto delle chitarre blackeggianti mi rendono il cervello pappa d’avena tiepidina.

Dopo il lungo fade out sprofondiamo ancora nel soundscape acustico, in un lentissimo “dong dong” di chitarra acustica, e canti tantrico-vichinghi in sottofondo. “Stars” chiude il cerchio dell’album, tornando alla quiete dell’inizio. Come due parentesi contenenti un’espressione di fottuta algebra, sta a voi risolverla, io sono solo il professore scoreggione che da i compiti. Il mio giudizio? Stare orizzontali ed amare l’atmospheric black metal che non copia pedissequamente altri grandi nomi, sono i requisiti per ascoltare quest’album con un sorrisetto ebete o con uno sguardo più serio, sono due fattori obbligatori a chi l’ascolta. Altrimenti ascoltatevi Phil Collins, dio bastardo, se vi va di “scuotere il culetto” nel modo più mediocre possibile. Questo è del buon underground. Underground non vuol dire classifiche. Il link sta qua sotto. Guidate piano.

LINK AL PROFILO FACEBOOK DI TELEVISIONHEAD: http://www.facebook.com/Televisionhead?ref=hl

LINK A THE UNCHAINING’s WANDERING THROUGH THE LANDSCAPES OF MIND: https://soundcloud.com/the-unchaining/sets/the-unchaining-wandering

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