martedì 14 maggio 2013

Little Rolling Heads From Outer Space Vol.4

Il Cimitero Nello Specchio, sperimentare è dire poco


Little Rolling Heads From Outer Space (Vol.4)

— Rubrica di critica musicale per teste d’acido, di Televisionhead —

Quarta Puntata: Il Cimitero Nello Specchio

Porcodio! Era ora! Un gruppo sperimentale! Parlando per me, son stanco fin dentro ai coglioni di sentire la stessa merda di cane friggersi e rifriggersi in eterno nella stessa padella, ed ecco che appena stavo per tirarmi un colpo di schioppetto nel più scuro buco che ho nel corpo per via della sfiducia nella creatività nell’uomo musicalis del 21 secolo, m’arriva da recensire il cimitero nello specchio. Il qual nome già di per sé merita. Senz’altro siamo lontani dalla cacca sonora che troppo spesso ci propinano. Cristincroce, ‘sto disco (“Sulla Soglia”, si chiama) ha pelo sui coglioni: è autoprodotto, autoregistrato, autoconcepito, e non ci ha mica voglia di venirci a raccontare fregnacce… Il sound è piuttosto complesso a dirla tutta: mi fa pensare ai miei amati Lounge Lizards (prima maniera) che fanno una sega ai Portishead, mentre il cadavere vizzo e mezzo squassato di Chet Baker suona appeso a testa in giù su un palco bruciato “my funny valentine” al contrario, e Frank Martin Strauss degli Einsturzende Neubauten nel frattanto si diverte a suonare ninnenanne africane martellando carrelli per la spesa amplificati e distorti mentre un disco di billy holiday inceppato continua a suonare lo stesso loop triste ma audace all’infinito, in sottofondo. Signore e signori, è roba da sentire strafatti. O roba che vi fa sentire strafatti se gli date una possibilità, e la piantate, ‘na buona volta di ascoltare sempre i soliti due dischi dei Maiden o di Katy Perry in repeat, lasciando spazio a gente viva, a gente sconosciuta ma non per questo meritatamente sconosciuta.

La prima traccia, “When the bugs have No Home”, ci abitua ad un cantato che non ritroveremo facilmente in tutto l’album, e mentre l’angosciante ritmaccio “alla NIN” ci striscia tra i neuroni, trombe impazzite anni ‘40 e sovrapposizioni sonore di varia natura (contatele, se vi riesce) contribuiscono alla sensazione di trovarsi in manicomio abbandonato in un languido e soffice badtrip con le mutande umide. Uno schiaffo al rallenty, ma l’anima del disco è da ricercarsi più in profondità, considero questo pezzo un sipario che si alza.

“Hellxxon Waldez” è una canzone deforme. Ma è una deformità che ci obbliga a guardarla… Potrei chiamarla un intermezzo. Tutto può essere jazz, mi verrebbe da dire, senti questa e pensaci.

Dopo è il turno della timida “untitled_1”, il cui ruolo mi sembra quello di stendere un tappeto rosso per “Rovine”. Un basso molto trip-hop, una base molto jungle-jazz, una figata se posso sbilanciarmi, visto che ‘sto cazzo di genere non si trova da nessuna cazzo di parte e me lo sto ritrovando tra le orecchie or ora, cazzo! Se ai raves ci fossero pezzi così, andrei ai raves. E invece col cazzo che ci vado. Un tip piuttosto liquido mi rimescola il cervello, mentre ascolto questo pezzo, il migliore fin’ora. Si inizia a percepire l’atmosfera dell’album, sta a voi procurarvi sinestesie stesi a letto con questi grooves ibridi, mica a me. Bel pezzo, cazzo!

“Untitled_2” è un altro intermezzo, ma se non ve lo dicevo col cazzo che ve n’accorgevate, perché ora inizia “Notte senza Luna”, paranoico jazz per scrittori con crampi di fame e pensieri più neri della roba che mi esce dal cucù se mangio thailandese per tre giorni di fila. Evoca essenzialmente una calma ipocrita, una tranquillità epilettica che assomiglia all’appartenere a due mondi al contempo. Ma la sorpresa arriva verso il terzo minuto. Qua si viaggia di brutto, non sto dicendo cazzate, il giro di chitarra è azzeccato, fa vedere una luce alla fine del tunnel di angoscia bianchiccia, ma ancora ci si sbaglia: imprevedibilmente le onde sonore ci portano al di sopra delle già provate seghe mentali, per farci volteggiare in uno dei più ben riusciti flow del disco. C’è solo da star zitti e da rimpiangere di non aver voglia di “farne su un’altra” per impedirsi di rovinare l’atmosfera del brano. Il consiglio è: preparatevi il cervello all’ascolto come meglio potete, perché se lo ascoltate tutto di fila, questo primo lavoro del Cimitero Nello Specchio, non avrete cazzi di alzarvi dal letto o dalla posizione stravaccata in cui sarete per tutto il tempo che durerà. Il pezzo dura 11 minuti e 19 secondi ed è un tempo giusto per un pezzo come questo, niente da dire. Il centro dell’opera, sencondo me, è proprio questa canzone, la sesta su dieci.

Ma mica è finito, è il turno di “Al Buio”, che più che una canzone è un’ “evocatore di umore”, che stende il tappeto alla Title-Track: un sottile riff di chitarra introduce lo spleen elettrico del pezzo. Sentendolo, vedo campi di grano secchi e calderrimi, un vecchio con la barba fino alle palle vestito da spaventapasseri crocifisso lì in mezzo, corvi che gli beccano la testa, nuovole di cemento su una città di provincia. C’è dell’industrial nella pancia di questa canzone: Il basso, il BASSO non ci lascia in pace mentre fuori dalla finestra operai scazzati tagliano lamiere armoniosamente e noi pensiamo al suicidio bevendo un thé al cardamomo, sorridendo. Poi il pezzo finisce forse troppo presto. Ma sono problemi miei, ogni tanto mi masturbo il cervello colla musica, sai.

“This Wall Together”, la prossima, non mi fa avere visioni grigie, ma mi fa riflettere. Questo pezzo è una stracazzo di evocazione, e pure ben riuscita. Un finale? Quasi. “Untitled_2” Ci fa uscire dal torpore con un semplice giro di chitarra, e “Sulla Soglia” è finito. Dico che è un buon disco perché non mi ha rotto i coglioni con forzature o con sottolineature o con pernacchie per stupire, è un disco onesto, solido, inadatto agli scaffali di qualche negozio patinato e perciò va ascoltato, a mio parere, proprio per la sua difficoltà di reperimento, per la difficoltà che sembrano avere i gruppi nell’andare fuori strada e perdere l’accesso alle etichette “sicure” date ai generi musicali non miscelati fra loro. Questo lavoro musicale non è “solo questo” o “solo quest’altro”, ma è, dichiaratamente, ALTRO. Questo gli farà perdere ascolti dai “camminatori sui sentieri” e da chi ama la musica in bianco e nero, ma mica per questo perderà il mio.

E per piacere a Televisionhead, non deve avere gusto della popò, ma del cioccolato.

Alla prossima, alla prossima, alla prossima.

Link al disco del Cimitero Nello Specchio:

http://ilcimiteronellospecchio.bandcamp.com/

Link al profilaccio facebook di Televisionhead:

https://www.facebook.com/Televisionhead?ref=tn_tnmn

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