Zona Mc: favella alla velocità della luce e manco l’ombra di “Pes”
Little Rolling Heads From Outer Space (Vol.7)
— Rubrica di critica musicale per teste d’acido, di Televisionhead —
Settima Puntata: Zona MC
Premettendo che se sei uno di quei cani rabidi et idrofobi vittime della morsa del proprio zeitgeist che ascoltano, cazzo ne so, i club dogo, forse non è il posto giusto per te, ‘sto blog ai confini dello wasteland underground, preparo il mio Logos al soliloquio su Zona mc, sentendomi più triste che arrabbiato con i portatori di cancro alla razionalità e al senso estetico che si fanno fondere le orecchie al ritmo stereotipico di “fumo un po’ e dopo gioco a pes”. Perché iniziare una delle mie recensioni epilettiche citando un bouquet di stronzetti la cui fama è inversamente proporzionale al talento, piuttosto che con il musicista in questione? Semplice, perché, indirettamente, ne sto già parlando. Per quanto, pure ai miei mucillagginosi occhi stanchi di posarsi su mediocrità onnipresente ed onnipotente ciò paia deleterio all‘“effetto sorpresa” di una buona recensione, persevero nel mio intento e faccio cadere quest’impalcatura già traballante, ossia, mi sbilancio:
Zona mc dà l’impressione che il restante rap cosiddetto rap canonico (visto che la maledetta stragrande maggioranza di stronzi porta avanti questa bandiera continuando a vomitare aborti di dischi commercial-ciucciacazzi) sia al confronto una sorta di “uomo di Neanderthal” zoppo, focomelico, e sull’orlo della demenza senile precoce. Senza un cazzo togliere all’uomo di Neanderthal, eh. Voglio dire, e cercate di seguirmi, che semplicemente non ha saputo, il demone chiamato hip-hop, evolversi in una creatura superiore, ed in troppi casi è stato lasciato indietro, cazzo. Come l’uomo di Neanderthal. Orco dio, ma è possibile che da movimento urbano di non-musica, non-arte, non-commercialità, non-vendibilità, pro-rivoluzione si sia arrivati a un inneggiare catalettico a proposito di pippare cocaina a Milano leccando fighe di modelle scheletriche cercando di farsi foto con la mano libera per poi vantarsi con gli altri maschi beta? Questo è il rap, oggi? La risposta è no, ma è anche sì, poichè senza una massa di pecore a ondeggiare la testa verticalmente, da su a giù, un capolavoro non è un capolavoro, è solo una “cosa”, a prescindere da quanto quella “cosa “sia una figata.
Boh, un minuto di silenzio mentre lasciamo che questo “genere musicale” si contorca sul suo letto di dolore, e lasciamo che chi ha le palle di mettere in discussione i strafottuti FORMAT piegandoli a sua immagine, creando di più e copiando di meno sia un precedente da cui imparare, sullo sfondo di un cementizio panorama abnormale di cervelli fritti nel niente.
E come amo dire: “Fatevi meno seghe e leggete più Boezio.” Bè, sembrerebbe che qualcuno l’abbia fatto. Ecco a voi Zona Mc.
Quest’ultimo “Scrivere col sangue” si presenta come una macchia confusa spiattellata sulla copertina, un’immagine che non mi pare malvagia. Scosto il velo della copertina facendo partire il disco,e, cazzo, finalmente, eccoci.
“Amici Miei”, la prima, è una stracazzo di traccia che ti tiene con il buco del culo stretto stretto dall’inizio alla fine, favellando NONSTOP un testo su Socrate, le opinioni di Zona sulla decisione di bere quella cazza di cicuta del ciccione geniale della filosofia si fondono con nozioni che chi è abituato a lasciarsi cullare dai ritornelli accarezzacancrenacerebrale certamente non reggerebbe, ma io reggo, e questo pezzo mi piace quanto qualsiasi pezzo del suo “vecchio” disco “Ananke”, per così dire, cioè molto.
“I sofisti del 2000” Suona come il testo hardcore punk anni 80 che nessuno ha mai scritto, solo con una base elettronica sfondameningi che catapulta, assieme al messaggio nello stramaledetto “mondo nuovo” di Huxley, e, battutina criptica per i due sfigati che hanno letto il libro, fa sentire come se l’ultima pillola di SOMA vi sia caduta in un tombino proprio prima di andare ad una visita alle fabbriche di genomi e di esseri umani.
“Genealogia del debito”, terza traccia. Si apre con un canto tribale, e ne capiamo il motivo ascoltando il testo. Cosa che dobbiamo fare MENTRE ascoltiamo i canti di cui sopra. Difficile quanto figo, e poi una base insospettabile prende a calci il nostro equilibrio, ma ci si abitua, ci si gasa, cazzo. Ed eccoci. Devo far ricominciare il pezzo perché mi sono perso. Questo non perché la traccia sia inefficace. Voler approfondire il messaggio (la sostanza) per poi godersi la musica in cui è contenuto (forma) è sintomo di desiderare un fottuto approfondimento, mica cazzate.
Ed eccoci alla quarta “Odissea di Ulisse pensionato di Bellaria”, che si apre con una base apparentemente più canonica rispetto agli standard schizofrenici di Zona. La canzone ha tracce di recitazione, la musica si sfuma quando il protagonista si spacca la capoccia, poi sul finire della canzone la musica si fa più acuta, come a sottolineare il destino profumato di merda del protagonista della vicenda. Roba interattiva. Ed ecco che mi sto ritrovando a pensare, a pochi minuti dall’inizio del disco. Dei contenuti! Questo sì che farebbe sbadigliare quelli che “fumano un po’ e poi giocano a pes”. Spiegatemi dove andate quando volete pensare, se ascoltate QUEL rap per lobotomizzarvi, direi io. E intanto inizia la quinta di ‘sto disco, mentre, riflettendo sui contenuti e godendomi musica e cadenze, proseguo nell’ascolto.
“Donne resistenti” non dura un cazzo, meno di due minuti, in un cidì che comunque ha una media di canzoni piuttosto corte, dense come cazzo sono di diciassette parole e suoni sfusi per millimetro cubo. E’ una testimonianza angosciante accompagnata da musica. Vorrei saperne di più.
Poi c’è “Notte”, dal suono che farà affiorare memorie di vecchi pezzi di Zona: impestati è dir poco. E’ una base, vale a dire che è strumentale. Va ascoltata nell’insieme dell’album, quindi non so che cazzo dirne se non che piacerà a chi piacerà e verrà skippata da chi cerca solo parole da un disco rap. Fatta bene, comunque, mica no.
“I migliori perdenti della storia” è una breve lezione con un messaggio alla fine. Niente che mi faccia drizzare le antenne ma nemmeno no.
Siamo a “Nemici Miei”. Nel mezzo di una discussione improntata stronzamente a “stramaledir le donne il tempo ed il governo”, intervenire enunciando il messaggio di questa canzone equivale a creare un silenzio imbarazzato e, dopo un po’, ad un cambio di argomento. Provateci a casa, funziona una volta su due. Nell’altro caso nessuno capirebbe un cazzo e si continuerebbe a prendere a cazzotti le scorregge foniche chiamate opinioni in un circolo vizioso/discorso ammazzatempo. La musica ottimista e sculettante stona col messaggio nella giusta misura, credo di poter affermare. Un ottimo pezzo, ovviamente.
La penultima “Da oggi mi chiamo Clemente” vorrei che la ascoltaste, babbei, è qui descritto un tipo di fastidio che a troppa gente è ignoto, e che non fa mai male sorbirsi. Cazzo! In un minuto e un quarto è già memoria, ma non c’è di che preoccuparsi perché verrà voglia di riascoltarla eghein end eghein.
Il cd muore parlando di morte nel pezzo finale “Monomortologo”. Un pezzo in cui il nostro Zona ha messo tutto ciò che negli altri pezzi non c’era, in questi bei 3 minuti e ventidue. Per dirlo come gli sciocchini, “spacca i culi”. La velocità dei pensieri di quest’uomo non è un esercizio per la laringe, una sega vocale, ebbasta, ma sembra che le nevrosi creative che gli bucherellano il cervello siano indice della mole di cose che ha da dire e che vuole dire. Qua ce n’è l’esempio.
Per trarre una conclusione, questo “Scrivere col sangue” è un disco da ascoltare da soli, camminando, riflettendo, camminando, guardando. Ed è così che l’ho ascoltato. Abituato come sono a frequentare un mucchio di culocefali e solo un paio di brave persone assetate di dialogo, ascoltare Zona non può che risultarmi un buon disco. Dà spunti, la musica è buona, ed è già molto in un mondo gremito di schizzetti di merda che si crede oro. Zona ha regalato i suoi dischi fin’ora, il che li fa assomigliare ad un dialogo a distanza, non solo pornografia sonora. Zona Mc ha uno straccio di anima? Certamente, inequivocabilmente, sì.
In qualche recensione certamente non al livello di questa qualcuno accusava Zona di essere uno studentello di filosofia che si gasava delle nozioni apprese beccando trentelodi, ma io, Televisionhead, ho sentito parlare gli studentelli di filosofia e gli studentelli di filosofia sono ad anni luce da qui, deo gratias. C’è da pensare che i pregiudizi ascoltino e vedano prima di noi, molto spesso. Ma io non sono un critico, io commento semplicemente il grado di durezza o di moscitudine del pisello della mia anima, titillata o meno dalle creazioni dei gruppi che ascolto, e che mi permettono di dire le mie cazzate su di loro. ‘Sto disco certamente non m’ha fatto fare cilecca, direi, coronando con l’ennesima cazzata questo flow di opinioni subnormali.
Personalmente quest’ultimo suo disco m’è piaciuto, ha delle idee ben realizzate, forse la durata complessiva è troppo corta, ma rispetto poi a quali stracazze di regole? Ecco, appunto. Sensazione mia. Come nella masturbazione, se non senti quel brivido particolare non ti riesce mica facile tirarlo fuori e iniziare a “strizzare il collo al pollo”, così, forse Zona Mc non farà venire “il brivido” alla maggior parte della gente abituata ad “altro rap”. Mica le decidiamo noi, le mode e gli andazzi. Resterà un ottimo disco di un rapper superiore alla media, e di molto. Non credo che, però, “Scrivere col sangue” mi piaccia quanto il precendente “Caosmo”, che ho ascoltato fino a farmi schizzare sangue misto a cerume dalle orecchie, ma, sapete, fare un disco rap ai livelli di “Caosmo” è parecchio difficile, anche per colui che l’ha fatto. Aver registrato un cazzo di capolavoro e continuare a partorire roba di qualità è ancor meno comune.
…E comunque, ci sarà un motivo se parte del sottotitolo di questo blog l’ho fregato proprio dal titolo di una canzone di Zona. No? Seguitelo.
Link al cidì di Zona Mc: http://trovarobato.bandcamp.com/album/scrivere-col-sangue
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