mercoledì 31 luglio 2013

TELEVISIONHEAD CAMBIA BLOG!

Salve, tanto per dire, ora poterò la mia merda soltanto su Tumblr, quindi, andate là se volete bervela.
IL LINK AL BLOG UFFICIALE DI TELEVISIONHEAD: http://televisionheadblog.tumblr.com/

Ricordatevi di mandarmi i vostri demo e i vostri album sul profilo facebook, in modo che possa recensirli: https://www.facebook.com/Televisionhead

Ci vediamo di là.

mercoledì 12 giugno 2013

Little Rolling Heads From Outer Space Vol.8

Magellano, cranii che fluttuano sopra a mari desolati.

 

                                                Little Rolling Heads From Outer Space (Vol.8)

                             — Rubrica di critica musicale per teste d’acido, di Televisionhead —

                                                            Ottava Puntata: Magellano

Fernão de Magalhães, italianizzato in “Magellano” è stato il primo figlio di puttana a circumnavigare il globo. Si direbbe, così, che un gruppo che sceglie come nome il nome del suddetto figlio di puttana lo faccia per sottolineare la sua vena pionieristica, lo faccia per mostrarci il folto pelo sulle sue palle che lo spinge a fare follie sonore per farlo rizzare a quelli che amano la diversità alla fotocopia. In qualche modo i Magellano qualcosa di mai sentito lo fanno, ma la Domanda che sorge spontanea è: basta fare qualcosa di “nuovo” per fare qualcosa di “figo”?

L’album, chiamato “a spasso” mi ricorda troppo Fabio Volo per piacermi. O forse a farmi girare le gonadi è la loro auto-descrizione la quale cito distrattamente, prendendola da SoundCloud, con una smorfia di dolore: “pirati dal cuore tenero e dalle parole gentilmente taglienti”. Andiamo oltre e scartiamo il regalo.

La prima è “okok” e la voce che apre la canzone mi dice nelle orecchie robe su polpette che cadono, e non so se ridere o se no, nel dubbio ascolto il rap zoppo e preso a sberle del primo cantante. Sembra fare un freestyle su qualsiasi cosa faccia rima, non capisco, sembra si lamenti di qualcosa, siamo in due. Poi il ritornello cerca di insinuarsi fra le pieghe o fra le piaghe del mio cervello, ci riesce, mi incazzo, una vocina dice ocheiochei, la traccia finisce, ho capito l’andazzo, mi do un pugno e stringo i denti, devo andare avanti, cazzo, devo farcela, e arriva la seconda.

La titletrack! “Tutti a spasso (feat. Escobar)” è una canzone fracassona. piripì poropò purupù e si arriva al ritornello passando attraverso una sassaiola di rimacce in stile Rino Gaetano col mal di milza, poi ecco il ritornello/chiodo arrugginito nella materia grigia, poi c’è anche una parolaccia, anzi due, non me l’aspettavo. Perché mi viene da pensare a Dj Francesco? Roba da festicciole, roba da spiaggie, roba lontana da Televisionhead, roba che comunque può piacere alla maggior parte dell’essere umano del 2000. M’astengo.

“Il pasto di Varsavia” mi ricorda i triti giuochi di parole dei Baustelle. I beats escono dagli anni ‘80. Citano Branduardi ma in modo da farmi rinsecchire il membro. Scappo da questa traccia, è come essere presi a sberle da una baby gang in Romania e non poter reagire. Cerchi solo di scappare con aria dignitosa dandogli tutto ciò che hai. Paura e rabbia.

“Genova per chi?” è il pezzo serio. Sono genovesi e parlano di Genova con disillusione, fin’ora la migliore, ma… cazzo arriva il ritornello caramellato. A canale 5 la adorerebbero. Ma Little Rolling Heads from Outer Space non è Canale 5. Lo sapete?

“Paesaggio Infinito” prometteva bene, m’aspettavo, cazzo ne so? Una traccia strumentale. Invece arriva la voce glucosica, stringo il culo e vado avanti, avanti, avanti, si sono scambiati gli “strumenti” ora il melodico fa un po’ di hip hop. Almeno credo. Mi cola il contenuto del cranio dalle orecchie bagnando la spugnetta delle mie cuffie. Tolgo le cuffie dalle casse e dall’altra stanza mi gridano: “Abbassa ‘sta roba!” E io penso che invece musica così andrebbe ascoltata al massimo volume, a chi piace, e credo possa piacere a molti. Molti però non sono tutti, e se non amate la musica elettropop cosa potete farci? Consigliarla a chi la ama, forse. La prossima.

“Dall’essere, dal dover essere e dall’essere umano”… Ha un’inizio imprevedibile e poi citano Sanremo, dicono che non ci sono, e io dico forse dovrebbero. Incazzata, sta traccia. ok ok, direi. Sento il ritornello e dico: la prossima.

L’ultima è ” Sopravvivere in questa nazione” fa di tutto per assomigliare a “eeeehy beibe, ai uonna nooooooou if iud bi mai gheeeerl”. Aspetto trepidante che finisca il nananananananananananananananananananananananananananananananananana nananananananananananananananananananananananananananananananananana nananananananananananananananananananananananananananananananananana nananananananananananananananananananananananananananananananananana nananananananananananananananananananananananananananananananananana nananananananananananananananananananananananananananananananananana nananananananananananananananananananananananananananananananananana nananananananananananananananananananananananananananananananananana nananananananananananananananananananananananananananananananananana nananananananananananananananananananananananananananananananananana nananananananananananananananananananananananananananananananananana nananananananananananananananananananananananananananananananananana nananananananananananananananananananananananananananananananananana nananananananananananananananananananananananananananananananananana nananananananananananananananananananananananananananananananananana nananananananananananananananananananananananananananananananananana
Arriva il flow. Parla dell’oggi. Non gli piace.

Neanche a me.

Detto ciò i Magellano fanno qualcosa di nuovo, come ho già detto, e per apprezzarli non si deve essere degli amanti della musica senza compromessi. Sono una band con fantasia, che si è certamente impegnata a fare ciò che ha fatto e si sente. E’ comunque un disco che potrebbe piacere, e molto, anche se non a me o ai miei amici. Il problema è che chi legge “Televisionhead” non sentirebbe mai i Magellano, almeno credo, quindi poco male. Una stretta di mano ai Magellano mi pare il minimo, perché indipendentemente da cosa fate, fatelo con cura e passione. Loro, indiscutibilmente, queste due cose ce le hanno messe.

Per il resto, ‘sto disco, A ME, nun me piace.

Link allo streaming dei Magellano: https://soundcloud.com/magellano

Link al profilo facebook di me: https://www.facebook.com/Televisionhead

sabato 25 maggio 2013

Little Rolling Heads From Outer Space Vol. 7

Zona Mc: favella alla velocità della luce e manco l’ombra di “Pes”
 

                                            Little Rolling Heads From Outer Space (Vol.7)

                               — Rubrica di critica musicale per teste d’acido, di Televisionhead —

                                                           Settima Puntata: Zona MC

Premettendo che se sei uno di quei cani rabidi et idrofobi vittime della morsa del proprio zeitgeist che ascoltano, cazzo ne so, i club dogo, forse non è il posto giusto per te, ‘sto blog ai confini dello wasteland underground, preparo il mio Logos al soliloquio su Zona mc, sentendomi più triste che arrabbiato con i portatori di cancro alla razionalità e al senso estetico che si fanno fondere le orecchie al ritmo stereotipico di “fumo un po’ e dopo gioco a pes”. Perché iniziare una delle mie recensioni epilettiche citando un bouquet di stronzetti la cui fama è inversamente proporzionale al talento, piuttosto che con il musicista in questione? Semplice, perché, indirettamente, ne sto già parlando. Per quanto, pure ai miei mucillagginosi occhi stanchi di posarsi su mediocrità onnipresente ed onnipotente ciò paia deleterio all‘“effetto sorpresa” di una buona recensione, persevero nel mio intento e faccio cadere quest’impalcatura già traballante, ossia, mi sbilancio:

Zona mc dà l’impressione che il restante rap cosiddetto rap canonico (visto che la maledetta stragrande maggioranza di stronzi porta avanti questa bandiera continuando a vomitare aborti di dischi commercial-ciucciacazzi) sia al confronto una sorta di “uomo di Neanderthal” zoppo, focomelico, e sull’orlo della demenza senile precoce. Senza un cazzo togliere all’uomo di Neanderthal, eh. Voglio dire, e cercate di seguirmi, che semplicemente non ha saputo, il demone chiamato hip-hop, evolversi in una creatura superiore, ed in troppi casi è stato lasciato indietro, cazzo. Come l’uomo di Neanderthal. Orco dio, ma è possibile che da movimento urbano di non-musica, non-arte, non-commercialità, non-vendibilità, pro-rivoluzione si sia arrivati a un inneggiare catalettico a proposito di pippare cocaina a Milano leccando fighe di modelle scheletriche cercando di farsi foto con la mano libera per poi vantarsi con gli altri maschi beta? Questo è il rap, oggi? La risposta è no, ma è anche sì, poichè senza una massa di pecore a ondeggiare la testa verticalmente, da su a giù, un capolavoro non è un capolavoro, è solo una “cosa”, a prescindere da quanto quella “cosa “sia una figata.

Boh, un minuto di silenzio mentre lasciamo che questo “genere musicale” si contorca sul suo letto di dolore, e lasciamo che chi ha le palle di mettere in discussione i strafottuti FORMAT piegandoli a sua immagine, creando di più e copiando di meno sia un precedente da cui imparare, sullo sfondo di un cementizio panorama abnormale di cervelli fritti nel niente.

E come amo dire: “Fatevi meno seghe e leggete più Boezio.” Bè, sembrerebbe che qualcuno l’abbia fatto. Ecco a voi Zona Mc.

Quest’ultimo “Scrivere col sangue” si presenta come una macchia confusa spiattellata sulla copertina, un’immagine che non mi pare malvagia. Scosto il velo della copertina facendo partire il disco,e, cazzo, finalmente, eccoci.

“Amici Miei”, la prima, è una stracazzo di traccia che ti tiene con il buco del culo stretto stretto dall’inizio alla fine, favellando NONSTOP un testo su Socrate, le opinioni di Zona sulla decisione di bere quella cazza di cicuta del ciccione geniale della filosofia si fondono con nozioni che chi è abituato a lasciarsi cullare dai ritornelli accarezzacancrenacerebrale certamente non reggerebbe, ma io reggo, e questo pezzo mi piace quanto qualsiasi pezzo del suo “vecchio” disco “Ananke”, per così dire, cioè molto.

“I sofisti del 2000” Suona come il testo hardcore punk anni 80 che nessuno ha mai scritto, solo con una base elettronica sfondameningi che catapulta, assieme al messaggio nello stramaledetto “mondo nuovo” di Huxley, e, battutina criptica per i due sfigati che hanno letto il libro, fa sentire come se l’ultima pillola di SOMA vi sia caduta in un tombino proprio prima di andare ad una visita alle fabbriche di genomi e di esseri umani.

“Genealogia del debito”, terza traccia. Si apre con un canto tribale, e ne capiamo il motivo ascoltando il testo. Cosa che dobbiamo fare MENTRE ascoltiamo i canti di cui sopra. Difficile quanto figo, e poi una base insospettabile prende a calci il nostro equilibrio, ma ci si abitua, ci si gasa, cazzo. Ed eccoci. Devo far ricominciare il pezzo perché mi sono perso. Questo non perché la traccia sia inefficace. Voler approfondire il messaggio (la sostanza) per poi godersi la musica in cui è contenuto (forma) è sintomo di desiderare un fottuto approfondimento, mica cazzate.

Ed eccoci alla quarta “Odissea di Ulisse pensionato di Bellaria”, che si apre con una base apparentemente più canonica rispetto agli standard schizofrenici di Zona. La canzone ha tracce di recitazione, la musica si sfuma quando il protagonista si spacca la capoccia, poi sul finire della canzone la musica si fa più acuta, come a sottolineare il destino profumato di merda del protagonista della vicenda. Roba interattiva. Ed ecco che mi sto ritrovando a pensare, a pochi minuti dall’inizio del disco. Dei contenuti! Questo sì che farebbe sbadigliare quelli che “fumano un po’ e poi giocano a pes”. Spiegatemi dove andate quando volete pensare, se ascoltate QUEL rap per lobotomizzarvi, direi io. E intanto inizia la quinta di ‘sto disco, mentre, riflettendo sui contenuti e godendomi musica e cadenze, proseguo nell’ascolto.

“Donne resistenti” non dura un cazzo, meno di due minuti, in un cidì che comunque ha una media di canzoni piuttosto corte, dense come cazzo sono di diciassette parole e suoni sfusi per millimetro cubo. E’ una testimonianza angosciante accompagnata da musica. Vorrei saperne di più.

Poi c’è “Notte”, dal suono che farà affiorare memorie di vecchi pezzi di Zona: impestati è dir poco. E’ una base, vale a dire che è strumentale. Va ascoltata nell’insieme dell’album, quindi non so che cazzo dirne se non che piacerà a chi piacerà e verrà skippata da chi cerca solo parole da un disco rap. Fatta bene, comunque, mica no.

“I migliori perdenti della storia” è una breve lezione con un messaggio alla fine. Niente che mi faccia drizzare le antenne ma nemmeno no.

Siamo a “Nemici Miei”. Nel mezzo di una discussione improntata stronzamente a “stramaledir le donne il tempo ed il governo”, intervenire enunciando il messaggio di questa canzone equivale a creare un silenzio imbarazzato e, dopo un po’, ad un cambio di argomento. Provateci a casa, funziona una volta su due. Nell’altro caso nessuno capirebbe un cazzo e si continuerebbe a prendere a cazzotti le scorregge foniche chiamate opinioni in un circolo vizioso/discorso ammazzatempo. La musica ottimista e sculettante stona col messaggio nella giusta misura, credo di poter affermare. Un ottimo pezzo, ovviamente.

La penultima “Da oggi mi chiamo Clemente” vorrei che la ascoltaste, babbei, è qui descritto un tipo di fastidio che a troppa gente è ignoto, e che non fa mai male sorbirsi. Cazzo! In un minuto e un quarto è già memoria, ma non c’è di che preoccuparsi perché verrà voglia di riascoltarla eghein end eghein.

Il cd muore parlando di morte nel pezzo finale “Monomortologo”. Un pezzo in cui il nostro Zona ha messo tutto ciò che negli altri pezzi non c’era, in questi bei 3 minuti e ventidue. Per dirlo come gli sciocchini, “spacca i culi”. La velocità dei pensieri di quest’uomo non è un esercizio per la laringe, una sega vocale, ebbasta, ma sembra che le nevrosi creative che gli bucherellano il cervello siano indice della mole di cose che ha da dire e che vuole dire. Qua ce n’è l’esempio.

Per trarre una conclusione, questo “Scrivere col sangue” è un disco da ascoltare da soli, camminando, riflettendo, camminando, guardando. Ed è così che l’ho ascoltato. Abituato come sono a frequentare un mucchio di culocefali e solo un paio di brave persone assetate di dialogo, ascoltare Zona non può che risultarmi un buon disco. Dà spunti, la musica è buona, ed è già molto in un mondo gremito di schizzetti di merda che si crede oro. Zona ha regalato i suoi dischi fin’ora, il che li fa assomigliare ad un dialogo a distanza, non solo pornografia sonora. Zona Mc ha uno straccio di anima? Certamente, inequivocabilmente, sì.

In qualche recensione certamente non al livello di questa qualcuno accusava Zona di essere uno studentello di filosofia che si gasava delle nozioni apprese beccando trentelodi, ma io, Televisionhead, ho sentito parlare gli studentelli di filosofia e gli studentelli di filosofia sono ad anni luce da qui, deo gratias. C’è da pensare che i pregiudizi ascoltino e vedano prima di noi, molto spesso. Ma io non sono un critico, io commento semplicemente il grado di durezza o di moscitudine del pisello della mia anima, titillata o meno dalle creazioni dei gruppi che ascolto, e che mi permettono di dire le mie cazzate su di loro. ‘Sto disco certamente non m’ha fatto fare cilecca, direi, coronando con l’ennesima cazzata questo flow di opinioni subnormali.

Personalmente quest’ultimo suo disco m’è piaciuto, ha delle idee ben realizzate, forse la durata complessiva è troppo corta, ma rispetto poi a quali stracazze di regole? Ecco, appunto. Sensazione mia. Come nella masturbazione, se non senti quel brivido particolare non ti riesce mica facile tirarlo fuori e iniziare a “strizzare il collo al pollo”, così, forse Zona Mc non farà venire “il brivido” alla maggior parte della gente abituata ad “altro rap”. Mica le decidiamo noi, le mode e gli andazzi. Resterà un ottimo disco di un rapper superiore alla media, e di molto. Non credo che, però, “Scrivere col sangue” mi piaccia quanto il precendente “Caosmo”, che ho ascoltato fino a farmi schizzare sangue misto a cerume dalle orecchie, ma, sapete, fare un disco rap ai livelli di “Caosmo” è parecchio difficile, anche per colui che l’ha fatto. Aver registrato un cazzo di capolavoro e continuare a partorire roba di qualità è ancor meno comune.

…E comunque, ci sarà un motivo se parte del sottotitolo di questo blog l’ho fregato proprio dal titolo di una canzone di Zona. No? Seguitelo.

Link al cidì di Zona Mc: http://trovarobato.bandcamp.com/album/scrivere-col-sangue

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domenica 19 maggio 2013

Little Rolling Heads From Outer Space Vol. 6

Attrito e Lyon Estates: calci in pancia e pugni in gola per beneficienza.
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  Little Rolling Heads From Outer Space (Vol.6)

- Rubrica di critica musicale per teste d’acido, di Televisionhead -  

Sesta Puntata: Attrito / Lyon Estates Split

 Cari, sembrerebbe davvero che, come già in cuor mio immaginavo e sospettavo e sapevo, cazzo, i gruppi hardcore siano quelli con meno puzza sotto al naso e con meno "sindrome da micropene di maschio beta che vuole sembrare maschio alfa". Due cazzi di secondi e la disponibilità per recensire la loro musica è presto data. Un paio di puzzoni ci sono stati, ad onor del vero, tra i molti a cui ho chiesto e i pochi che mi hanno chiesto recensioni, oh, sì. Ma non è mica il caso dei 2 gruppi che sto per recensire.
Si, I GRUPPI, poiché questo è uno split sul quale per altro dovrei spendere un paio di altre parole prima di condividere con voi il succo di questo frullato di incazzamento, talento, bastonate piacevoli nelle orecchie e via dicendo. Questo mini-split (6 pezzi in cui solo due superano i due minuti, e di poco, perché hardcore significa dire molto in poco tempo, senza prese pel culo, ritornelli infiocchettati, seghe varie ed eventuali, o almeno così è per me) si pone l'obiettivo di fornire supporto ai condannati in seguito al fottutissimo G8. Strano che qualcuno ne parli ancora. Pensavo che non fregasse più un cazzo a nessuno, passata com'è la moda della solidarietà, in quest'epoca priva di memoria storica. Bè, buono a sapersi, cazzo! I gruppi hc mi danno soddisfazioni che altrove neanche per caso. Ma, stronzo come sono, questo è tutto ciò che dirò riguardo alla parte cosiddetta "politica" del disco, nonostante con questo stia bypassando il maledetto 70% dell'opera, ma, sapete, mi autoimpongo ignorantemente di fare della sterile critica musicale, ciononostante sappiate, comunque, che non potrei essere più d'accordo con loro.
Detto questo, come al cazzo di solito, appena dopo messo play guardo la copertina. Cosa posso farci? sono un feticista delle immagini che presentano concetti nascosti, dentro a se stessi e dentro al lavoro che presentano. L'omino che accende il fuoco attorniato da corvi (corvi?) è un'enigma. I nomi dei 2 gruppi non spiegano molto, là in alto come epitaffi insufficienti. Fico.
Inizia con gli ATTRITO. Una voce femminile recita dei versi che definire significativi sarebbe riduttivo come chiamare Plutone un sassolino, con voce assente e non del tutto sconfitta. Poi si scatena un cazzo di fottutissimo caos ordinato: "Giorni di luglio", la prima traccia, non ha tempo di perdere tempo in ciance: è una catapulta fottuta, come essere svegliati a pugni da quindici individui poco raccomandabili ed essere lanciati fuori dalla finestra per 3 piani per essere pestati anche laggiù. Ci si sente in una Genova mentale, mi azzardo pacchianamente a dire, ma non posso farci uno stracazzo, l'old school a filo di rasoio di questi pezzi fa breccia nel mio cuore di pietra. Il pezzo finisce così in fretta da sembrare un intro, ma, sorpresa! la canzone seguente, ovverosia "Un'altra notte" dura ancora meno, e quindi, dopo un'inizio che sai già andrà a parare nel tentativo di farti esplodere lo stomaco dal di dentro (efficace) si snoda incazzata per il resto del tempo mentre la testa ti rimbalza tra le due chitarre completamente impazzite e... (porcatroia!) IMMEDIATAMENTE dopo inizia "Ancora nel vento", e qui capisci che il resto del cd difficilmente si muterà da oro a merda, e infatti, cazzo, infatti, anche questo pezzo fa il suo, è più vario degli altri, aggiungo, e se il finale è "vagamente" più lento della media fin'ora ascoltata è solo per far uscire di scena il primo gruppo con una rapidità che fa restare inebetiti.
Ora i Lyon Estates ridefiniscono la cazzutissima velocità con "70 anni", babababababababa e metto pausa. Bestemmio, perché non mi aspettavo tale qualità così concentrata in tale brevità di split. E' un po' come ingozzarsi di chiodi di garofano, cazzo, e se solo i chiodi di garofano avessero un buon sapore la metafora sarebbe sensata. Quintessenza di hardcore schiacciata all'inverosimile in... quanti cazzo sono? Puttana eva, manco 11 minuti di album! Vabè, rimetto play, la seconda canzone inizia come non mi sarei aspettato, e mentre ammiro il batterista penso che questo pezzo è QUASI ai livelli di "in disparte" degli Indigesti, cosa che credevo QUASI irraggiungibile. La prima parte dell'ultima canzone, "essere libero" potrebbe facilmente essere catalogata come grindcore se solo la voce non fosse genuinamente hardcore. Va rallentando, va rallentando, ma mica perde le palle. Ti ritrovi a muovere il cranio a ritmo di musica ed è già finito.
Manco a dirlo, rimetti play e te lo riascolti TUTTO DA CAPO, massì, cos'altro dovresti fare?
'Nsomma, dài, gli Attrito e i Lyon Estates hanno bene a fare ciò che hanno fatto, anche se forse è la scarsa qualità della maggior parte dei gruppi che me lo fa dire, non so.

Segno che nulla muore del tutto se alzi il fottuto culo e lo fai vivere o fai finta con stile?

O no?

 Link all'accacì di Attrito/Lyon Estates: http://annoyingrecords.bandcamp.com/album/attrito-lyon-estates
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giovedì 16 maggio 2013

Televisionhead's TOP 15: i miei scrittori preferiti

A quanto pare sono ancora così stupido da leggere, lo ammetto, anche se è meglio guardare le viole crescere e la pioggia cadere e la merda marcire noi uomini e donne contemporanei abbiamo bisogno di surrogati di emozioni. Colpa mia? No, cazzo, no. Colpa di millenni di segregazione mentale. Per evitare la totale pazzia è meglio tagliare gli alberi, maciullarli, trasformarli in cartaccia e spruzzarci sopra più o meno a casaccio parole, parole, parole, fregnacce che ci fanno piangere, fregnacce che ci fanno ridere, o, più spesso, fregnacce che ci fanno sbadigliare i coglioni fino alle lacrime. Qualcuno però ha reso fuoco quelle pagine, bruciando via anni e anni di malessere del lettore, collegando i loro corpi putrefatti con i nostri ancor vivi con invisibili fottutissimi sentieri mentali. Cosiddetti scrittori, cosiddetti immortali. 15, per fortuna sono pochi, ce ne sarebbero a carriolate, di vecchie ossa a cui leccare il culo a posteriori e da far vedere a voi ignorantoni facebook-cefali, ma mi limiterò perché codesta è solo una trovata commerciale e voglio scopare senza baci in questo excursus evitabile, fraintendibile e poco sensato. Prendiamone uno dal mucchio:


15) Walt Whitman

Giusto il più grande poeta a cui riesco a pensare, sul momento. Se mi ci metto mi vengono altri nomi, ma quello di questo barbuto vecchiaccio è il primo. Un solo libro, "Foglie d'Erba", ristrutturato, ampliato, lucidato nel corso di tutta la sua vita è l'opera più monumentale e significativa della modernità, diffidate da commenti di altro tipo. Costui fa sembrare "Urlo" di Ginsberg la scorreggia di una pulce nel vento. Nulla di più onnicomprendente, cosmico, vero, scoperchia-cranii ho mai potuto leggere, e, per una volta, leggere un libro sembra davvero essere meglio di una silenziosa passeggiata nel bosco con solo il proprio ego pugnalato a morte nella contemplazione dell'Unità. Grazie, vecchiaccio barbuto. Eccheccazzo.
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 14) John Kennedy Toole

Personaggio leggendario, morto suicida perché era la persona giusta nel momento sbagliato, questo fiero abitante della vecchia New Orleans ha scritto il libro più divertente che abbia letto, "Una Banda Di idioti". Il suo personaggio migliore, Ignatius, è raffigurato in una statua meravigliosa davanti al centro commerciale del quartiere francese della sua città amata, e questo basta a commuovere. Era lo scrittore preferito da Bill Hicks. Serve dire altro? Manco pel cazzo!
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 13) Severino Boezio

Chi di voi mi ama lo sa: la frase che più spesso ripeto è: "le nuove generazioni dovrebbero leggere più Boezio e farsi meno seghe". Già. "De consolatione philosophiae" è semplicemente scintillante genio che trasuda dai millenni. Roba con le balle ben gonfie. Boezio, rappresenti la morte della verità. Grazie di aver scritto quella robaccia invece che esserti limitato a fissare i muri della torre in cui ti avevano ficcato in attesa di farti sparire dalla circolazione, ne hai aiutati molti. Tra cui me.
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 12) Charles Baudelaire

Talmente bravo da passare indenne il fatto che i fottuti hipsters lo osannino costantemente, e questo già la dice lunga. Costui girava per le vie di Parigi con i capelli tinti di verde quando ti guardavano storto per come respiravi. Nella scrittura ha dimostrato palle e fegato ancor maggiori, fregandosene di autodistruzione, pregiudizi e merda liquida passata per opinioni, e andando oltre a dove gli occhi potevano guardare. Se c'è la morte Baudelaire le sta facendo i ditalini. Roba enorme.
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 11) Robert E. Howard

Suicida, giovane, geniale, non risconosciuto in vita, riconosciuto solo parzialmente dopo la morte, inventore dell'heroic fantasy, genio poliedrico prolifico come trecento conigli sotto viagra. Gli ingredienti per delle letture mai noiose, potenti come mannaiate sui denti e figate a 360 cazzo di gradi ci sono. Gente che ami il genere pulp, nonostante la sua meravigliosità, purtroppo, scarseggia sempre.
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10) Charles Bukowski

Diceva che se i carcerati ti leggono e ti vogliono bene non puoi dire di aver sbagliato nulla come scrittore. Aveva ragione. Oltre che prosatore col cazzo più lungo del tuo, era anche un poeta rivoluzionario e attualmente insuperato. Chinaski, figlio di cane.
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 9) Dante Alighieri

Chi dice che di buono ha scritto solo "L'Inferno" ciuccia i cazzi alle suore e non ha mai letto Dante. Inimitabile, Inarrivabile, il genio.
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 8) George Orwell

Semplicemente un genio della fantascenza e dell'allegoria. Trascende la politica schiava del tempo ed entra nella dimensione della psicologia, del mito, dell'Umano, e scrive con una semplicità palese e scorrevole. Due dei migliori libri di tutti i tempi vengono da questo pirla. E' abbastanza? Sì, tu non ne hai scritto nemmeno uno.
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 7) John Milton

Anche se il finale del suo libro migliore, il "Paradisae Lost" fa cagare sangue a spruzzo dal buchetto del cazzo, il resto è Beethoven tradotto a parole, prima di Beethoven. Potente come un cazzo di uragano F-6 su pel buco del culo, le sue parole sono esplosivi piazzati sui neuroni. Ed era pure cieco come una talpa quando l'ha dettato (non scritto) agli scribacchini. Whoa!
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6) Philip K. Dick

Drogato, schizofrenico e paranoico, aveva sempre l'impressione che il buco del cesso o il suo gatto potessero essere sbirri venuti dal futuro per bruciargli i peli delle balle e per inchiodargli il popò. In pratica, un simpaticone, che oltre a questo era dotato d'una fantasia schizoide meravigliosa. "Scorrete lacrime disse il poliziotto" è un libro che non capiremo mai abbastanza.
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5) Franz Kafka 

Posizione pari merito con Dino Buzzati, E. A. Poe e Lovecraft, il nostro ebreo di Praga che voleva bruciare i suoi scritti è semplicemente oscuro come la gnocca di Madama Morte, e sprizza genio da ogni orifizio. Bravo.
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 4) Fedor Dostoevskij

Nonostante la sua pallosità stratosferica e quasi del tutto insostenibile, lo ficco qua in mezzo perché mi piace la sua barba.
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 3) John R. R. Tolkien

Chiunque lo abbia letto senza merda spalmata sulle pupille sa perché cazzo c'è Tolkien, in mezzo a qualsiasi lista di scrittori. Semplicemente un buon uomo. Un filantropo, quasi.
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2) John Steinbeck 

Lo scrittore che dovrebbe servire come metro di giudizio per capire chi è uno scrittore. Mai stronzo, mai ciucciamerda, mai banale e mai noioso. Mica facile. E questa testa atomica è da leggersi in ogni caso, se si è nati sulla Terra.
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1) Omero 

il Non-plus-ultra delle figate, talmente "cool" da non esistere (forse) nemmeno, Omero, il dio dell'epicità, dell'intreccio, della metafora, dei mostri fighi, della poesia, della prosa, probabilmente sapeva pure scopare a testa in giù, se c'è un dio lassù può pure pulirgli i sandali, a 'sto genio superiore. A volte mi chiedo perché cazzo esco il sabato sera invece che sciropparmi l'Odissea steso a letto con una pinta di Whiskey sul comò, candele, e pioggerella fuori. Campione, cazzo!
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Grazie per la lettura e buona lettura.

 In fede,

 TELEVISIONHEAD.

mercoledì 15 maggio 2013

Little Rolling Heads From Outer Space Vol. 5

     Disordine, contate quante volte dico "cervelli".   image
                     Little Rolling Heads From Outer Space (Vol.5)

              — Rubrica di critica musicale per teste d’acido, di Televisionhead —

     Quinta Puntata: DISORDINE

Eccomi a recensire i Disordine. La copertina stimola-cervelli con cervelli mangiati da allegre famiglie anonime anni '50 mi invita, prendendomi la manina, a fare un tuffo nelle loro peregrinazioni sonore hardcore. E io mica mi tiro indietro. Inizio col dire che il concept visivo dell'album spacca i culi, è fatto bene, l'ironia dei grotteschi figli di puttana che pappano la materia grigia (forse la loro, forse la nostra, forse entrambe) mi piace, è un must dell'hardcore parlare di cervelli, disegnare cervelli, denunicare cervelli spenti, stimolare cervelli, quindi, porcoddio, benvenga.

E infatti nel disco non si parla mica di caramelle ed elefanti: si parla di prendere a pugni nei coglioni proprio i rappresentanti dell'allegoria in copertina. E' hardcore. O posthardcore, vabè, ma alla fine, chissenefotte di che genere è, ci siamo capiti, tra le righe.

Metto play e il disco inizia con "L'inizio", un intro noncemale con all'inizio quelli che sembrerebbero inequivocabilmente rumori di una sega, vera o finta che essa sia, non ho capito, ma ci stava, cazzo. Per tutto il disco, premetto, ho avuto la sensazione che i Disordine siano un gruppo che in live possa dare il meglio, il che vi sembrerà una cazzata ovvia, ma ovviamente vi sbagliate, stupidini. Hardcore significa anche "Corrono Ginocchia Sbucciate" dei Frammenti, per esempio, che per me è quasi oggettivamente meglio ascoltare da soli, con le mani nascoste in tasca camminando verso casa con file di alberi morti ai lati della strada morta, in inverno, al tramonto. I Disordine invece mi danno l'idea di un concerto estivo, andare a vederli a un festival, così, tirare pugni al vento, bestemmiando contro l'aria. Sto divagando? Sto divagando.

L'intro ci spinge mica con cattiveria verso la seguente "Riparto da Qui", bucherellata da stop & go. La voce in questo pezzo è cattiva ma si contiene, sembrerebbe, per dopo. Mi da l'idea che allo studio di registrazione erano meno incazzati di quando l'hanno scritta, ma non poi troppo, 'nsomma. Le cose si allineeranno di più successivamente, ne "Ad Occhi Chiusi" la voce e la chitarra entrano sole ed assieme, e il messaggio viene sparato fuori da delle incessantemente spennazzanti chitarre ben suonate, hanno qualcosa che mi fa dire, questi Disordine, ecco il punk hardcore. Poche volte l'unione tra questi due cazzi di generi è riconoscibile come in questo disco. La canzone è comprensibile, schematica, mi dispiace segare le palle a chi legge ripetendomi ogni due per tre, ma, porcocazzo, devo farlo: questo gruppo, ne sono certo, live, è il modo corretto di assumerlo, me lo dice la vocina nella testa.. Mi vedo là sotto al palco a scuotere questa mia televisiva testa in prima fila. Perché no?

Sia come sia, inizia la prossima canzone, "Raccontami Ancora". Inizia col piede giusto, continua col piede giusto. Fin'ora la più valente, a mio giudizio. Le lamette strofinate sui bulbi oculari del verso lasciano improvvisamente spazio all'imprevedibile ritornello, eppoi al particolare ponte sonoro tra la prima parte della canzone e la seconda: un calcio nel cazzo. Un pezzo da leccarsi i baffi, semplice ma complesso, cazzuto al punto giusto. I Disordine lo sanno, e continuano a massaggiarci di sberle medio/forti le orecchie (sarà perché non ascolto dischi hardcore se non al volume massimo?) con "Imparare a Nuotare". Di questa mi piace più la musica che non il testo, ma sono cazzi miei.

"Plastica", invece, è un inno all'anti-merda, una canzone che mi è parsa apposto, dopotutto, il cui climax è il ritornello ben azzeccato. Puttana miseria, la plastica non le tollero manco io, metaforica o meno, poco da farci. Detto questo inizio a menarmi il cazzo della mente (o del cervello) per i brevi ma concreti 2 minuti e 10 del pezzo sulle tragiche figure nell'artwork dell'album, me li figuro a mangiarmi le palle ridendomi in faccia, mi incazzo, mi risveglio, è iniziata "Deptford 453", molto bello come pugno in faccia, la tendenza quasi-melodica dell'album è qui contraddetta, ma dura poco. Dura poco? no, nella seguente ed ultima "La Fine", la cazzo di miglior canzone (ma, ohimè, l'ultima), resta abbastanza cattiveria sul fondo del bicchiere, le vertebre della canzone reggono, ci sono un paio di sorprese, le voci sono al loro picco e i cantanti sono 2, è proprio un buon pezzo, soprattutto dopo la relativa oscillazione delle canzoni precedenti, tra melodia ed avere le palle piene del mondo, qui si trova lo sfogo finale del disco, che personalmente avrei voluto il più possibile simile "alla fine".

Ciò non toglie che il disco sia ascoltabilissimo da un pubblico ferrato in materia post/hardcore/punk/anarcho/roba. Personalmente sono triste per la brevità del disco (17 minuti scorrono in frettissima, porcocazzo), ma l'opera del gruppo va presa così com'è, e il mio giudizio è: non un capolavoro, per niente una merda, ma nemmeno un lavoro mediocre, santamadonna, piuttosto un disco che fa piacere avere nella propria collezione di roba hardcore, un giudizio positivo mi esce spontaneo, senza ripensamenti, ecco quà.
Onesto. Mica è poco, cazzo.


 Link alla musique dei Disordine: http://disordine.bandcamp.com/

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martedì 14 maggio 2013

Little Rolling Heads From Outer Space Vol.4

Il Cimitero Nello Specchio, sperimentare è dire poco


Little Rolling Heads From Outer Space (Vol.4)

— Rubrica di critica musicale per teste d’acido, di Televisionhead —

Quarta Puntata: Il Cimitero Nello Specchio

Porcodio! Era ora! Un gruppo sperimentale! Parlando per me, son stanco fin dentro ai coglioni di sentire la stessa merda di cane friggersi e rifriggersi in eterno nella stessa padella, ed ecco che appena stavo per tirarmi un colpo di schioppetto nel più scuro buco che ho nel corpo per via della sfiducia nella creatività nell’uomo musicalis del 21 secolo, m’arriva da recensire il cimitero nello specchio. Il qual nome già di per sé merita. Senz’altro siamo lontani dalla cacca sonora che troppo spesso ci propinano. Cristincroce, ‘sto disco (“Sulla Soglia”, si chiama) ha pelo sui coglioni: è autoprodotto, autoregistrato, autoconcepito, e non ci ha mica voglia di venirci a raccontare fregnacce… Il sound è piuttosto complesso a dirla tutta: mi fa pensare ai miei amati Lounge Lizards (prima maniera) che fanno una sega ai Portishead, mentre il cadavere vizzo e mezzo squassato di Chet Baker suona appeso a testa in giù su un palco bruciato “my funny valentine” al contrario, e Frank Martin Strauss degli Einsturzende Neubauten nel frattanto si diverte a suonare ninnenanne africane martellando carrelli per la spesa amplificati e distorti mentre un disco di billy holiday inceppato continua a suonare lo stesso loop triste ma audace all’infinito, in sottofondo. Signore e signori, è roba da sentire strafatti. O roba che vi fa sentire strafatti se gli date una possibilità, e la piantate, ‘na buona volta di ascoltare sempre i soliti due dischi dei Maiden o di Katy Perry in repeat, lasciando spazio a gente viva, a gente sconosciuta ma non per questo meritatamente sconosciuta.

La prima traccia, “When the bugs have No Home”, ci abitua ad un cantato che non ritroveremo facilmente in tutto l’album, e mentre l’angosciante ritmaccio “alla NIN” ci striscia tra i neuroni, trombe impazzite anni ‘40 e sovrapposizioni sonore di varia natura (contatele, se vi riesce) contribuiscono alla sensazione di trovarsi in manicomio abbandonato in un languido e soffice badtrip con le mutande umide. Uno schiaffo al rallenty, ma l’anima del disco è da ricercarsi più in profondità, considero questo pezzo un sipario che si alza.

“Hellxxon Waldez” è una canzone deforme. Ma è una deformità che ci obbliga a guardarla… Potrei chiamarla un intermezzo. Tutto può essere jazz, mi verrebbe da dire, senti questa e pensaci.

Dopo è il turno della timida “untitled_1”, il cui ruolo mi sembra quello di stendere un tappeto rosso per “Rovine”. Un basso molto trip-hop, una base molto jungle-jazz, una figata se posso sbilanciarmi, visto che ‘sto cazzo di genere non si trova da nessuna cazzo di parte e me lo sto ritrovando tra le orecchie or ora, cazzo! Se ai raves ci fossero pezzi così, andrei ai raves. E invece col cazzo che ci vado. Un tip piuttosto liquido mi rimescola il cervello, mentre ascolto questo pezzo, il migliore fin’ora. Si inizia a percepire l’atmosfera dell’album, sta a voi procurarvi sinestesie stesi a letto con questi grooves ibridi, mica a me. Bel pezzo, cazzo!

“Untitled_2” è un altro intermezzo, ma se non ve lo dicevo col cazzo che ve n’accorgevate, perché ora inizia “Notte senza Luna”, paranoico jazz per scrittori con crampi di fame e pensieri più neri della roba che mi esce dal cucù se mangio thailandese per tre giorni di fila. Evoca essenzialmente una calma ipocrita, una tranquillità epilettica che assomiglia all’appartenere a due mondi al contempo. Ma la sorpresa arriva verso il terzo minuto. Qua si viaggia di brutto, non sto dicendo cazzate, il giro di chitarra è azzeccato, fa vedere una luce alla fine del tunnel di angoscia bianchiccia, ma ancora ci si sbaglia: imprevedibilmente le onde sonore ci portano al di sopra delle già provate seghe mentali, per farci volteggiare in uno dei più ben riusciti flow del disco. C’è solo da star zitti e da rimpiangere di non aver voglia di “farne su un’altra” per impedirsi di rovinare l’atmosfera del brano. Il consiglio è: preparatevi il cervello all’ascolto come meglio potete, perché se lo ascoltate tutto di fila, questo primo lavoro del Cimitero Nello Specchio, non avrete cazzi di alzarvi dal letto o dalla posizione stravaccata in cui sarete per tutto il tempo che durerà. Il pezzo dura 11 minuti e 19 secondi ed è un tempo giusto per un pezzo come questo, niente da dire. Il centro dell’opera, sencondo me, è proprio questa canzone, la sesta su dieci.

Ma mica è finito, è il turno di “Al Buio”, che più che una canzone è un’ “evocatore di umore”, che stende il tappeto alla Title-Track: un sottile riff di chitarra introduce lo spleen elettrico del pezzo. Sentendolo, vedo campi di grano secchi e calderrimi, un vecchio con la barba fino alle palle vestito da spaventapasseri crocifisso lì in mezzo, corvi che gli beccano la testa, nuovole di cemento su una città di provincia. C’è dell’industrial nella pancia di questa canzone: Il basso, il BASSO non ci lascia in pace mentre fuori dalla finestra operai scazzati tagliano lamiere armoniosamente e noi pensiamo al suicidio bevendo un thé al cardamomo, sorridendo. Poi il pezzo finisce forse troppo presto. Ma sono problemi miei, ogni tanto mi masturbo il cervello colla musica, sai.

“This Wall Together”, la prossima, non mi fa avere visioni grigie, ma mi fa riflettere. Questo pezzo è una stracazzo di evocazione, e pure ben riuscita. Un finale? Quasi. “Untitled_2” Ci fa uscire dal torpore con un semplice giro di chitarra, e “Sulla Soglia” è finito. Dico che è un buon disco perché non mi ha rotto i coglioni con forzature o con sottolineature o con pernacchie per stupire, è un disco onesto, solido, inadatto agli scaffali di qualche negozio patinato e perciò va ascoltato, a mio parere, proprio per la sua difficoltà di reperimento, per la difficoltà che sembrano avere i gruppi nell’andare fuori strada e perdere l’accesso alle etichette “sicure” date ai generi musicali non miscelati fra loro. Questo lavoro musicale non è “solo questo” o “solo quest’altro”, ma è, dichiaratamente, ALTRO. Questo gli farà perdere ascolti dai “camminatori sui sentieri” e da chi ama la musica in bianco e nero, ma mica per questo perderà il mio.

E per piacere a Televisionhead, non deve avere gusto della popò, ma del cioccolato.

Alla prossima, alla prossima, alla prossima.

Link al disco del Cimitero Nello Specchio:

http://ilcimiteronellospecchio.bandcamp.com/

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https://www.facebook.com/Televisionhead?ref=tn_tnmn